08 Nov 2012

Un viaggio chiamato… bambino… “Continuità tra vita fetale e vita neonatale: il primo anno di vita del bambino” – Seconda parte

 
DI SONIA COMPOSTELLA
Il campo della relazione e la comunicazione
E’ vero tuttavia che dopo la nascita (ma anche prima di essa, poiché a livello dell’immaginario materno il futuro bambino è un essere che esiste nel desiderio della madre, un essere che lei attende, un essere sognato) il bambino è sottomesso ad influenze culturali ed educative strettamente legate al modo in cui la madre è stata essa stessa allevata.
La nascita del figlio/a evoca in lei, le relazioni che ha avuto con la propria madre. Emergono ricordi dell’infanzia, che vanno nel senso di una attiva regressione e che favoriscono il processo di identificazione, soprattutto quando si tratta di una figlia: “mia madre mi ha detto che anch’io ero così quando ero piccola… non pensavo che a dormire…”.
Queste influenze, legate e alla personalità della madre e alle sue relazioni parentali e a certe credenze, si manifestano sin dai primi giorni, a differenti livelli delle cure apportate al bambino/a.
E’ forse, questa “preistoria relazionale materna” che all’inizio favorisce ed introduce la madre nel suo contatto primario con il figlio/a e che progressivamente modula e trasforma in uno “stile maternante e strutturante” aggiustato ai bisogni, mano a mano che si sperimenta nella conoscenza del proprio piccolo.
La sollecitudine amorevole della madre, permette al bambino di conoscere il benessere ed il malessere (persa la protezione dell’utero, egli fa esperienza di un mondo spiacevole, conosce la fame, la privazione, il caldo e il freddo, il movimento imbrigliato, ma vive anche il piacere) associandoli a determinate parti del corpo, una sorta di “iscrizioni corporee” che progressivamente aiuteranno il “comporsi di una totalità del corpo“; una unità di piacere del corpo, una organizzazione somato-psichica vissuta nella relazione sensuale come piacere della sensorialità diffusa, che fonda l’io corporeo e l’io psichico (va sottolineato che questo graduale processo non è nell’ordine del conscio, della rappresentazione e del linguaggio).
Chi si occupa scientificamente di questa fase della vita del bambino, tende ad identificare con la bocca il luogo primario dove maturano queste sensazioni, ma si deve altresì comprendere anche la pelle, i labirinti, tutti gli organi dell’apparato propriocettivo.
Grazie alla sollecitazione adattiva esercitata dal mondo esterno, il bambino impara ad esprimere le proprie emozioni (di piacere e di dispiacere). Egli comunica attraverso la globalità del proprio corpo, vissuto tonicamente ed affettivamente con la madre, la quale a sua volta diviene capace di situarsi a livello pre-espressivo, non verbale, del figlio/a, mostrando, come ha scritto RENÈ SPITZ, “una sensibilità quasi telepatica a sostegno della relazione, un così alto grado di disparità tra due individui tanto strettamente associati e interdipendenti non riscontrabile altrove nella nostra organizzazione sociale”.
Questo “specchio precoce” che la madre avvia nei riguardi del figlio/a, continua tutta la vita.
E’ vero che ogni mamma parla con il suo bambino molto prima che egli conquisti la capacità del linguaggio verbale. Sin dall’età dei tre mesi gli occhi del bambino “si specchiano e si illuminano” guardando la mamma. Lo sviluppo emotivo del bambino è marcatamente legato a questo “riflesso di sé” che raccoglie sul volto-sguardo della madre, alle reazioni mimiche che in esso percepisce, tanto che D.W. WINNICOTT scrive: “ciò che il lattante vede è se stesso”.
La madre imita l’intensità ed il ritmo dell’espressione, del movimento del corpo, dello sguardo, della vocalizzazione del bambino, come in una sorta di “danza comunicativa“.
 
Dialogo tonico-emozionale-empatico tra madre-bambino
e ambiente e sviluppo del bambino
Quanto detto fino ad ora “contribuisce a chiarire ulteriormente il concetto che il bambino, anche piccolissimo, soprattutto attraverso i movimenti del corpo, il sorriso, le grida, interagisce attivamente e comunica con l’adulto, influenzandone il comportamento. Il neonato ed il bambino piccolo utilizzano a questo scopo l’aspetto non verbale della comunicazione (definito aspetto di “relazione”), quello cioè che attraverso il clima reciproco dei sentimenti comunicati mediante i gesti, la tonalità della voce, la posizione del corpo, esprime e definisce le caratteristiche della relazione che si sta intrattenendo.” (M. RUTTER , 1973)
Via via gli atteggiamenti ed il “patrimonio iniziale” della madre e del bambino si influenzano reciprocamente, ponendo in correlazione aspetti del comportamento dell’una con modalità di risposta dell’altro, e viceversa, all’interno di un sistema relazionale (contesto).
Nel bambino e nella madre si realizzano dei “modi” di fare ed essere (indici) che permettono di rilevare, ad esempio per il bambino, il grado di recettività o di sensibilità alle stimolazioni, la capacità di risposta agli stimoli secondo lo stadio di sviluppo in cui si trova, i differenti fattori che permettono di comprendere lo stile motorio (attivo o passivo), le modalità di richiamo di presenza e di interagire con la madre e l’ambiente circostante.
Così, ad esempio, dal punto di vista materno, possono essere indicati: la frequenza dei contatti fisici, il loro stile, le modalità di consolazione, la frequenza e l’intensità dei sentimenti positivi espressi nei suoi confronti, gli sforzi per fornire al bambino delle stimolazioni sociali, etc.
J. de AJIURIAGUERRA (1967, psichiatra infantile) affermava che “gli adulti avvertono in maniera protopatica i movimenti del bambino come indici di domanda o di conferma, di supplica o di volontà tirannica; in tal modo il bambino plasma a poco a poco ed utilizza il suo ambiente e ciò è senza dubbio l’inizio di un dialogo“.
Tale citazione ben avvalora il significato che “la relazione adulto-bambino costituisce un sistema di forze coesistenti ed interdipendenti, in cui il comportamento di ciascuna di esse è funzione del rapporto reciproco che si instaura; frutto cioè, in ogni momento, dell’equilibrio delle forze che definiscono il rapporto medesimo.” (M. RUTTER, 1973)
La relazione madre-bambino è tuttavia collocata nel contesto sociale più vasto, rappresentato dalla famiglia d’origine o adottiva (o da un’istituzione assistenziale che ospita il bambino), che influenza la relazione stessa, sia in senso positivo e stimolante, sia in senso inibitorio.
Ancora, troppo spesso una madre si trova “frastornata” dalla molteplicità di “consigli” che le vengono impartiti da appartenenti alla cerchia familiare: “si deve fare così…; quando piange, lascialo piangere, altrimenti si vizia…; …” e ciò non mette in gioco una rassicurazione, ma bensì una sorta di “irrigidimento tonico-emozionale” che impedisce l’ascolto-empatico del bisogno del bambino.
Una sana, attiva, felice interazione fra adulto e bambino si afferma in particolare quando il bambino viene “riconosciuto e confermatocomeessere-persona esistente per sé“, diverso dall’adulto e capace di influenzarlo e trasformarlo con le sue iniziative.