09 Nov 2012

Il campo dell’Aiuto Psicomotorio terapeutico: il “piccolo gruppo di aiuto” – prima parte

AUTORE: Sonia Compostella

“La storia di tanti Giovanni e di tante Chiare,…:
ovvero come tentare di ripristinare l’armonia del tempo e dello spazio della Comunicazione e della Relazione con sé e con l’altro.”
Il campo dell’Aiuto Psicomotorio terapeutico: il “piccolo gruppo di aiuto”
Il contenuto di questo articolo presenta un insieme di “pensieri operativi” intesi ad orientare la riflessione e la possibile progettazione dell’area di “Aiuto Psicomotorio a Piccolo Gruppo” in ordine a specifici contesti istituzionali.
L’Aiuto Psicomotorio, come indicato da B. Aucouturier, nel suo fine terapeutico si articola a due livelli: l’aiuto psicomotorio terapeutico individuale e l’aiuto psicomotorio terapeutico che si sviluppa “a piccolo gruppo” di bambini. E’ appunto a quest’ultimo il riferimento, in un contesto particolare qual è quello dell’istituzione scolastica.
Credo si possa dare per scontata l’affermazione che la ricerca psicomotoria (e specificatamente mi riferisco al quadro della Pratica Psicomotoria B. Aucouturier) ha come suo programma di fare dell’infanzia e della sofferenza psichica dei bambini il momento centrale della propria attenzione, del proprio studio e della propria prassi.
Il “disagio infantile”, nelle sue variegate forme ed intensità, rappresenta per gli operatori-psicomotricisti la matrice di una adeguata prassi di osservazione, di ricerca e di messa a punto di mezzi di intervento. Ma, anche altri operatori, quali i docenti nelle varie istituzioni scolastiche sempre più spesso si “scontrano” con situazioni di “bambini difficili”, che pongono esigenze di gestione pedagogica e didattica differenziata.
Oggi, la complessità della crescita e della maturazione del bambino legata ad una velocizzazione dei ritmi di vita, può originare, più facilmente che in altri tempi, forme di “disattenzione” (da parte dell’ambiente circostante) al ricevere e comprendere i sottili segni e segnali del cambiamento della persona.
La scuola nel suo specifico di comunità, non è avulsa da un tale rischio, tanto più che la dimensione educativa deve coniugarsi con il fine dell’istruzione ed è spesso quest’ultimo a “prendere tutte le energie” del docente, facendo perdere così di vista la “persona-tutta”.
Allora…, incontrare l’alunno Giovanni, “ribelle” alle consegne, in continuo movimento, per il quale la penna resta a lungo una “bella spada” con cui “infilzare” il foglio del quaderno; o incontrare la piccola Chiara che è una “presente-assente”, la cui voce, quando esce, viene immediatamente “risucchiata” dallo spazio prossimo a lei, diventa spesso per l’insegnante un “colpo” intollerabile.
Sono bambini che “nel troppo troppo e nel troppo poco” della loro espressività motoria, “urlano” a chi sta intorno, la loro grande sofferenza. L’uno si colloca nel tempo brevissimo, nel tempo istantaneo, nel non “giusto” intervallo fra ideazione e azione; nella seconda il tempo è “assente”, lungo e lento, non marcato da cambiamenti. Sono quei bambini che non necessariamente presentano dei deficit intellettivi di base ma che comunque accumulano dei ritardi nell’apprendimento che possono diventare deficit veri e propri.
Lo spazio dell'”Aiuto Psicomotorio a Piccolo Gruppo”, ben si colloca per questi bambini, come pratica di intervento finalizzata a trovare i mezzi ed i modi per facilitare l’espressione delle emozioni e la loro pensabilità; luogo-tempo di aiuto al bambino per rendere possibile “la rappresentazione” e la comunicazione di emozioni e conflitti altrimenti incontenibili e impensabili.
Afferma B. Aucouturier (San Sebastian, marzo 2001):
“II poter sentire e accogliere la sofferenza di un bambino si basa su una precisa scelta filosofica: l’altro infatti, anche se si tratta di un bambino piccolo, é sempre considerato come una persona testimone di un’esperienza unica che va accolta con grande rispetto.
Questo tipo di accoglienza permette al bambino di aver fiducia, di essere riconosciuto dall’adulto e dì poter esprimere emozioni e pensieri che rischiano anche di sorprenderlo. Un atteggiamento di ascolto, di apertura emozionale, instaura un’atmosfera di sicurezza indispensabile per capire l’altro e per comunicare con l’altro.”
E continua sottolineando che:
“L’atteggiamento psicologico che ci permette di essere emozionalmente vicini al bambino senza esserne invasi é molto difficile da definire al di fuori di un contesto esperienziale; esistono tuttavia delle parole-chiave come accoglienza, ascolto, fiducia, rispetto, comprensione. Si tratta di un atteggiamento empatico di fronte alla sofferenza del bambino che, finché non lo si è provato, vissuto e interiorizzato, rischia di restare soltanto un’astrazione che non ha corpo.”
Rivolgendosi al campo della scuola la questione che subito rimbalza è relativa al come definire e caratterizzare l’area di “relazioni di aiuto” a bambini-alunni che evidenziano progressive difficoltà di adattamento al contesto, di rapporto coi coetanei, di accettazione delle consegne dell’adulto e della “legge” dello spazio e del tempo scuola.
Immediatamente si posiziona la questione: “…ma allora si fa terapia a scuola?…” a cui subito incalza l’altra domanda: “…ma chi deve promuovere/realizzare l’aiuto?…”
Tento di riaprire lo sguardo sul senso/significato del “largo” termine di prevenzione; “prevenire” che cosa?… ciò che “lasciato là” potrebbe via via fissare la “difficoltà” ed ostacolare/bloccare la trasformazione tonico – emozionale – intellettiva del bambino-alunno. Allora è possibile pensare che la scuola può diventare “possibile” luogo di realizzazione di una “Pratica di Aiuto al superamento delle difficoltà di tipo comunicativo-relazionale-comportamentale” favorendo un approccio armonico alle attività di apprendimento scolastico.
Ma …ancora una domanda avanza all’orizzonte: “chi fa l’Aiuto…? E che tipo di aiuto?” A questo punto la “risposta” può formalizzarsi secondo i seguenti parametri:
  1. La relazione di aiuto a bambini che presentano una “disarmonia” del processo di maturazione psicologica, si colloca nell’area della Pratica Psicomotoria B. A. e si svolge nell’ordine di una “presa in carico” del bambino tramite la via corporea: l’Aiuto Psicomotorio a Piccolo Gruppo nel contesto dell’istituzione scolastica.
  2. L’operatore che sviluppa e svolge il progetto di Aiuto Psicomotorio a piccolo gruppo di bambini, è uno psicomotricista (interno e/o esterno alla scuola).
  3. L’Aiuto Psicomotorio a Piccolo Gruppo si presenta come “specifico” sviluppo della Pratica Psicomotoria Educativa e Preventiva inserita nel contesto educativo.
Esso tiene una “durata temporale aggiustata alle necessità del gruppo” e si rivolge a bambini che per vari motivi, mostrano una “alterazione” dell’espressività motoria, ma che sono nella potenzialità di condividere esperienze emozionali, corporee, sensomotorio, simboliche e rappresentative se aiutati, accompagnati, facilitati e favoriti da una relazione di aiuto.
“Capire il senso della sofferenza di un bambino non significa considerarlo come un oggetto di analisi intellettuale su cui esercitare un potere al fine di ottenere un cambiamento, ma innanzitutto cercare di cogliere il senso di una testimonianza tramite le sue produzioni corporee, il suo comportamento. I discorsi intellettuali sulla sofferenza dei bambini, anche se pertinenti, rischiano di perdere di vista il bambino che soffre, soddisfacendo il narcisismo dell’adulto.
Tuttavia queste osservazioni, se da un lato ci mettono in guardia, dall’altro ci costringono a pensare che una relazione empatica è necessaria ma non sufficiente: bisogna infatti capire anche intellettualmente la sofferenza di un bambino per porsi meglio di fronte a lui e per aiutarlo davvero.”
B. Aucouturier (San Sebastian, marzo 2001)

Nel prossimo articolo verranno sviluppati i contenuti inerenti

  1. i criteri per la composizione del piccolo gruppo;
  2. le variazioni del setting;
  3. il sistema di attitudine dello psicomotricista;
  4. gli obiettivi e lo sviluppo del progetto di Aiuto Psicomotorio a Piccolo Gruppo.
Sonia Compostella – settembre 2002